Il Mercatino Rionale di Bagnoli è un edificio tozzo e rettangolare di due piani: quello superiore è adibito per lo più alla vendita di prodotti alimentari, con pollerie, minimarket, banco surgelati, fruttivendoli e drogherie; quello inferiore, a detersivi, pseudovestiario e prodotti per l'igiene intima.
Un tempo, il Mercatino, era una sorta di Eldorado in miniatura. Assieme al mercato itinerante che occupava una volta a settimana buona parte del quartiere, ci si poteva trovare di tutto, a prezzi convenienti. Adesso, invece, assomiglia più a una ghost town in rovina.
Il Mercatino è decadente, squallido, sporco. La metà dei negozi hanno le serrande arrugginite abbassate, su dieci lampadine che penzolano dal soffitto se ne accende solo una, e la maggior parte dei neon incollati alle pareti lampeggiano impazziti, senza mai fermarsi. Nonostante ciò, e nonostante nel quartiere siano presenti un paio di supermercati ben riforniti, il Mercatino Rionale rimane un punto di riferimento per la cittadinanza, e il luogo preferito dalle casalinghe e dai loro mariti dove trovare la maggior parte delle cose utili per il proprio appartamento, la propria cucina e il proprio frigorifero.
Rispetto al piano superiore - ampio, arioso e illuminato dalla luce che filtra dai finestroni posizionati sotto il soffitto che corrono lungo tutto il perimetro dell’edificio - il pian terreno è un ambiente stretto, claustrofobico e oscuro. E' una specie di corridoio addobbato fino all’inverosimile di cianfrusaglie e suppellettili più o meno inutili, sui lati del quale si aprono cubicoli lerci e in penombra che vendono saponette, borotalco, dentifrici, spazzolini e robe di questo genere.
Il gestore di uno di questi negozietti dai pavimenti dissestati è il signore G., un uomo tozzo e quadrato dall'aria innocente, con gli occhi piccoli e neri, il naso a punta, e le labbra sottili. Benchè la sua merceria sia una delle più orripilanti di tutto il complesso, cerca di ovviare alla “mancanza estetica” trattando i clienti con cortesia, precisione e cordialità. Dicono sia un brav'uomo, con moglie e figli, e che svolga il suo mestiere di commerciante in modo onesto ed esemplare, accontentando i clienti e offrendo sempre merce di prima qualità.
Poi è normale che, nel quotidiano svolgimento dell'esercizio commerciale, possano capitare, di tanto in tanto, intoppi, problemi o questioni di vario tipo. Questioni che il signor G., forte del suo alto senso morale, riesce sempre a risolvere.
Come questa mattina.
Al negozio si è presentata una signora di mezza età con il figlio. Il signor G. li conosce: sono clienti abituali. La signora ha chiesto il solito barattolo di borotalco da un 1kg, e il signor G. ha obbedito. Ha afferrato il barattolo dallo scaffale posto alle sue spalle, l’ha appoggia sul bancone, ha digitato il prezzo sul registratore di cassa, ha strappato lo scontrino emesso e l’ha dato alla signora.
«Signò, song’ 10 euri.»
La signora ha annuito, e dal borsello ha tirato fuori una banconota da 50.
Gli occhi del signor G. hanno brillato per un istante. Ha dato i due biglietti da 20 euro alla signora, mentre il figlio al suo fianco – un grassone dall’aria truce di quasi 30 anni, appoggiato a un carrello della spesa rosso e blu – sbuffava, visibilmente annoiato.
«Grazie, Signor G.», ha fatto la signora, passando il borotalco al figlio, che l’ha riposto nel carrello.
«Stateve bbon’, signò», le ha risposto G., con il suo tipico fare bonario.
La signora e il figlio sono usciti dal bugigattolo. Il signor G. ha continuato a servire i clienti, come al solito.
Dopo circa una quindicina di minuti, è riapparsa la signora del borotalco.
«Signor G., stavo comprando il pollo dalla signora di sopra, e quando ho pagato, mi ha detto che i 20 euro che mi avete dato voi come resto non so’ buoni e sono falsi.»
Il Signor G. ha socchiuso gli occhi, corrugato la fronte, arricciato le labbra e spalancato le braccia.
«Signò, e je che ce pozzo fare? Nun song’problemi miei, questi qua. Quann’na’ cosa jescie dal necozio, nun ce pozzo fare proprie niente. E po’ nun o’vedete ca’ e’sord’ so bbuoni? Ma quanno maje so' falsi!»
La signora ha accennato una flebile protesta, dicendo che oltre alla pollivendola, sia il fruttivendolo, sia la macchinetta per il controllo delle banconote della drogheria avevano stabilito che la banconota da 20 fosse falsa.
«Signò, ve l’aggio detto», ha ringhiato il Signor G., scuotendo la testa, «Nun se po’ ffà niente. I soldi so’ buoni. E mò jatevenne, ch’teng’che ffà. Non vedete che ppe’ mezza vostra s’è fatt’a folla dint’o negozio?»
La signora ha chinato il capo, e se n’è uscita mogia mogia dal cubicolo. Il signor G., sorridendo come se niente fosse successo, ha proseguito nello spicciare le persone che chiedevano questo e quel prodotto. Fino a quando, al bancone, non si è presentato il figlio della signora.
Sorrideva, ma dietro le lenti scure degli occhiali da sole, il Signor G. intuiva le occhiatacce leggermente intimidatorie.
«Ch’ve pozzo da’?», ha chiesto il signor G. rivolgendosi al grassone facendo finta di non sapere chi aveva di fronte.
Il figlio della signora si è fatto avanti, ha poggiato le 20 euro sul bancone e ha detto: «Questi sono i 20 euro che lei ha dato come resto a mia madre. La banconota, e lei lo sa benissimo, è falsa. Dato che non ha voluto cambiarla, pur sapendo di essere in torto, gliel’ho riportata, cosicchè potrà tranquillamente darla come resto a qualche altra persona onesta, che, così come ha fatto mia madre, non si accorgerà che i 20 euro sono falsi e non sono buoni…»
«Ma ch’state diciendo, guagliò», ha urlato il signor G., dissimulando sorpresa e indignazione al tempo stesso, e attirando la solita folla di curiosi pronta a farsi i fatti degli altri. «E’sord’ so' bbuoni. Ch’strunzat’staje dicenn’? Chi ve l’ha detto che i soldi sono falsi?»
Il grassone ha increspato le labbra in un sorriso maligno.
«L’ha detto la macchinetta per le banconote del droghiere del piano di sopra.»
«Eh, ma e’machinett’dicono nu’sacc’e’ strunzate!»
«E allora anche la pollivendola e il fruttivendolo dicono “nu sacc’e strunzate”, dato che hanno constatato il fatto che la banconota è fasulla. Ad ogni modo, se come sostiene – giustamente – lei, dato che i soldi che lei ha dato come resto a mia madre sono buoni, non avrà problemi a tenersi la banconota e a cambiarli con un’altra di pari importo, vero?»
Il Signor G. ha cominciato a guardarsi intorno, spaesato. Non aveva la minima intenzione di cambiare quei soldi, non sapeva cosa rispondere al grassone, e nel frattempo vedeva il capannello di gente formatosi fuori al negozio che annuiva quando parlava il figlio della signora.
«Eh, guagliò, mo’ nun pazziamm’. L’aggio detto già a tua madre. Quann’na cosa esce fuori dal negozio, je nun c’pozzo fare niente.»
«Allora si tenga pure la banconota come le ho detto prima. Tanto le persone qui intorno hanno sicuramente capito che razza di commerciante è.»
«Guè, ma comm’t’permiett e’dicere ste…»
«Stia zitto, che è meglio», ha detto secco il grassone, «Tanto la pessima figura l’ha fatta lo stesso, per lo più davanti ad altri clienti, che come vede mi stanno dando ragione. Le risparmio anche la seccatura di una denuncia per spaccio di banconote false, denuncia che potrei benissimo fare in quanto ho ben tre testimoni che mi conoscono e che hanno appurato il vero. Lei potrà aver guadagnato 20 euro con questo simpatico giochetto, 20 euro che io, a causa sua, ho perso; ma lei sa bene che se io ho perso 20 euro, lei ha perso un cliente, oltre a 100 e più euro in borotalco, dato che mia madre veniva a comprarlo esclusivamente qui una volta al mese.»
Il signor G. è rimasto ammutolito per qualche istante. Poi ha urlato qualcosa, mentre il grassone usciva dal cubicolo e diceva: «Sì, sì, continui a fare la parte dello stuzzo. Bla bla bla bla. L’importante è che la gente abbia visto come lei si comporta e che razza di lestofante è. Fossi in lei, proverei un po’ di vergogna per questo suo comportamento.»
Il capannello di gente intanto bofonchiava qualcosa.
Il Signor G., rimasto col volto terreo, la bocca spalancata e l’espressione stralunata, non sapeva più cosa dire. Come si permetteva quel chiattone di merda di delegittimarlo in quel modo davanti agli altri clienti? Clienti che, adesso, lo stavano guardando tutti con occhi di fuoco e la faccia indignata.
«Che schifo», dicevano alcuni, scuotendo la testa.
«Ma se i soldi erano buoni veramente, perché non li ha cambiati?», sussurravano altri.
«Ch figur’e merd’», affermavano altri ancora.
Il Signor G. ha deglutito, mentre vedeva la gente lasciare il suo negozio. Quelle due-tre persone che prima avevano in mano flaconi di detersivo, spugne e deodoranti, avevano riposto tutto al loro posto e se n’erano andate, lasciandolo solo.
Il negozio era sprofondato nel silenzio di colpo ed era ritornato ad essere quello che era: un cubicolo lurido, piccolo e sporco, all’interno di un edificio squallido e decadente.
Un tempo, il Mercatino, era una sorta di Eldorado in miniatura. Assieme al mercato itinerante che occupava una volta a settimana buona parte del quartiere, ci si poteva trovare di tutto, a prezzi convenienti. Adesso, invece, assomiglia più a una ghost town in rovina.
Il Mercatino è decadente, squallido, sporco. La metà dei negozi hanno le serrande arrugginite abbassate, su dieci lampadine che penzolano dal soffitto se ne accende solo una, e la maggior parte dei neon incollati alle pareti lampeggiano impazziti, senza mai fermarsi. Nonostante ciò, e nonostante nel quartiere siano presenti un paio di supermercati ben riforniti, il Mercatino Rionale rimane un punto di riferimento per la cittadinanza, e il luogo preferito dalle casalinghe e dai loro mariti dove trovare la maggior parte delle cose utili per il proprio appartamento, la propria cucina e il proprio frigorifero.
Rispetto al piano superiore - ampio, arioso e illuminato dalla luce che filtra dai finestroni posizionati sotto il soffitto che corrono lungo tutto il perimetro dell’edificio - il pian terreno è un ambiente stretto, claustrofobico e oscuro. E' una specie di corridoio addobbato fino all’inverosimile di cianfrusaglie e suppellettili più o meno inutili, sui lati del quale si aprono cubicoli lerci e in penombra che vendono saponette, borotalco, dentifrici, spazzolini e robe di questo genere.
Il gestore di uno di questi negozietti dai pavimenti dissestati è il signore G., un uomo tozzo e quadrato dall'aria innocente, con gli occhi piccoli e neri, il naso a punta, e le labbra sottili. Benchè la sua merceria sia una delle più orripilanti di tutto il complesso, cerca di ovviare alla “mancanza estetica” trattando i clienti con cortesia, precisione e cordialità. Dicono sia un brav'uomo, con moglie e figli, e che svolga il suo mestiere di commerciante in modo onesto ed esemplare, accontentando i clienti e offrendo sempre merce di prima qualità.
Poi è normale che, nel quotidiano svolgimento dell'esercizio commerciale, possano capitare, di tanto in tanto, intoppi, problemi o questioni di vario tipo. Questioni che il signor G., forte del suo alto senso morale, riesce sempre a risolvere.
Come questa mattina.
Al negozio si è presentata una signora di mezza età con il figlio. Il signor G. li conosce: sono clienti abituali. La signora ha chiesto il solito barattolo di borotalco da un 1kg, e il signor G. ha obbedito. Ha afferrato il barattolo dallo scaffale posto alle sue spalle, l’ha appoggia sul bancone, ha digitato il prezzo sul registratore di cassa, ha strappato lo scontrino emesso e l’ha dato alla signora.
«Signò, song’ 10 euri.»
La signora ha annuito, e dal borsello ha tirato fuori una banconota da 50.
Gli occhi del signor G. hanno brillato per un istante. Ha dato i due biglietti da 20 euro alla signora, mentre il figlio al suo fianco – un grassone dall’aria truce di quasi 30 anni, appoggiato a un carrello della spesa rosso e blu – sbuffava, visibilmente annoiato.
«Grazie, Signor G.», ha fatto la signora, passando il borotalco al figlio, che l’ha riposto nel carrello.
«Stateve bbon’, signò», le ha risposto G., con il suo tipico fare bonario.
La signora e il figlio sono usciti dal bugigattolo. Il signor G. ha continuato a servire i clienti, come al solito.
Dopo circa una quindicina di minuti, è riapparsa la signora del borotalco.
«Signor G., stavo comprando il pollo dalla signora di sopra, e quando ho pagato, mi ha detto che i 20 euro che mi avete dato voi come resto non so’ buoni e sono falsi.»
Il Signor G. ha socchiuso gli occhi, corrugato la fronte, arricciato le labbra e spalancato le braccia.
«Signò, e je che ce pozzo fare? Nun song’problemi miei, questi qua. Quann’na’ cosa jescie dal necozio, nun ce pozzo fare proprie niente. E po’ nun o’vedete ca’ e’sord’ so bbuoni? Ma quanno maje so' falsi!»
La signora ha accennato una flebile protesta, dicendo che oltre alla pollivendola, sia il fruttivendolo, sia la macchinetta per il controllo delle banconote della drogheria avevano stabilito che la banconota da 20 fosse falsa.
«Signò, ve l’aggio detto», ha ringhiato il Signor G., scuotendo la testa, «Nun se po’ ffà niente. I soldi so’ buoni. E mò jatevenne, ch’teng’che ffà. Non vedete che ppe’ mezza vostra s’è fatt’a folla dint’o negozio?»
La signora ha chinato il capo, e se n’è uscita mogia mogia dal cubicolo. Il signor G., sorridendo come se niente fosse successo, ha proseguito nello spicciare le persone che chiedevano questo e quel prodotto. Fino a quando, al bancone, non si è presentato il figlio della signora.
Sorrideva, ma dietro le lenti scure degli occhiali da sole, il Signor G. intuiva le occhiatacce leggermente intimidatorie.
«Ch’ve pozzo da’?», ha chiesto il signor G. rivolgendosi al grassone facendo finta di non sapere chi aveva di fronte.
Il figlio della signora si è fatto avanti, ha poggiato le 20 euro sul bancone e ha detto: «Questi sono i 20 euro che lei ha dato come resto a mia madre. La banconota, e lei lo sa benissimo, è falsa. Dato che non ha voluto cambiarla, pur sapendo di essere in torto, gliel’ho riportata, cosicchè potrà tranquillamente darla come resto a qualche altra persona onesta, che, così come ha fatto mia madre, non si accorgerà che i 20 euro sono falsi e non sono buoni…»
«Ma ch’state diciendo, guagliò», ha urlato il signor G., dissimulando sorpresa e indignazione al tempo stesso, e attirando la solita folla di curiosi pronta a farsi i fatti degli altri. «E’sord’ so' bbuoni. Ch’strunzat’staje dicenn’? Chi ve l’ha detto che i soldi sono falsi?»
Il grassone ha increspato le labbra in un sorriso maligno.
«L’ha detto la macchinetta per le banconote del droghiere del piano di sopra.»
«Eh, ma e’machinett’dicono nu’sacc’e’ strunzate!»
«E allora anche la pollivendola e il fruttivendolo dicono “nu sacc’e strunzate”, dato che hanno constatato il fatto che la banconota è fasulla. Ad ogni modo, se come sostiene – giustamente – lei, dato che i soldi che lei ha dato come resto a mia madre sono buoni, non avrà problemi a tenersi la banconota e a cambiarli con un’altra di pari importo, vero?»
Il Signor G. ha cominciato a guardarsi intorno, spaesato. Non aveva la minima intenzione di cambiare quei soldi, non sapeva cosa rispondere al grassone, e nel frattempo vedeva il capannello di gente formatosi fuori al negozio che annuiva quando parlava il figlio della signora.
«Eh, guagliò, mo’ nun pazziamm’. L’aggio detto già a tua madre. Quann’na cosa esce fuori dal negozio, je nun c’pozzo fare niente.»
«Allora si tenga pure la banconota come le ho detto prima. Tanto le persone qui intorno hanno sicuramente capito che razza di commerciante è.»
«Guè, ma comm’t’permiett e’dicere ste…»
«Stia zitto, che è meglio», ha detto secco il grassone, «Tanto la pessima figura l’ha fatta lo stesso, per lo più davanti ad altri clienti, che come vede mi stanno dando ragione. Le risparmio anche la seccatura di una denuncia per spaccio di banconote false, denuncia che potrei benissimo fare in quanto ho ben tre testimoni che mi conoscono e che hanno appurato il vero. Lei potrà aver guadagnato 20 euro con questo simpatico giochetto, 20 euro che io, a causa sua, ho perso; ma lei sa bene che se io ho perso 20 euro, lei ha perso un cliente, oltre a 100 e più euro in borotalco, dato che mia madre veniva a comprarlo esclusivamente qui una volta al mese.»
Il signor G. è rimasto ammutolito per qualche istante. Poi ha urlato qualcosa, mentre il grassone usciva dal cubicolo e diceva: «Sì, sì, continui a fare la parte dello stuzzo. Bla bla bla bla. L’importante è che la gente abbia visto come lei si comporta e che razza di lestofante è. Fossi in lei, proverei un po’ di vergogna per questo suo comportamento.»
Il capannello di gente intanto bofonchiava qualcosa.
Il Signor G., rimasto col volto terreo, la bocca spalancata e l’espressione stralunata, non sapeva più cosa dire. Come si permetteva quel chiattone di merda di delegittimarlo in quel modo davanti agli altri clienti? Clienti che, adesso, lo stavano guardando tutti con occhi di fuoco e la faccia indignata.
«Che schifo», dicevano alcuni, scuotendo la testa.
«Ma se i soldi erano buoni veramente, perché non li ha cambiati?», sussurravano altri.
«Ch figur’e merd’», affermavano altri ancora.
Il Signor G. ha deglutito, mentre vedeva la gente lasciare il suo negozio. Quelle due-tre persone che prima avevano in mano flaconi di detersivo, spugne e deodoranti, avevano riposto tutto al loro posto e se n’erano andate, lasciandolo solo.
Il negozio era sprofondato nel silenzio di colpo ed era ritornato ad essere quello che era: un cubicolo lurido, piccolo e sporco, all’interno di un edificio squallido e decadente.
Angelo sei un eroe xD. Inizialmente ho pensato che il commerciante non ne sapesse niente della banconota, in quanto nel tempo in cui la signora è uscita poteva benissimo averla già con sé o averla presa da un'altra parte. Ma il ragionamento del "cambio" mi era proprio sfuggito, che "pezz'emmerd". u_u
RispondiEliminaEcco...Molto "piezz'e merd'"... XD
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