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Fatti reali e pensieri stronzi, cinici e kattivi (sono una brutta persona)

Attenzione!
I fatti riportati di seguito sono assolutamente veri.
Stessa cosa per i pensieri cinici, kattivi (e pure un poco razzisti) del sottoscritto.
Buona (?) lettura.

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Racconti di vita (vissuta per finta?) #4: Ricarica Postepay

Quello del tabaccaio è un antro basso e poco illuminato, con le pareti occupate fin sopra il soffitto da oggetti quali scatole, rotoloni di carta, detersivi, profumi e prodotti per l'igiene intima.
Il tabaccaio, un uomo segaligno sui 50 anni, è stravaccato su una sedia a sdraio tipo mare, immerso nella lettura della "Gazzetta dello Sport". Gli occhi neri e incavati sono incollati sul foglio rosa che decanta le prodezze della sua squadra del cuore in Champions League; le labbra grigiastre, serrate attorno a una sigaretta dal colore giallognolo, descrivono un arco verso l'alto; le dita adunche artigliano i poveri fogli del quotidiano verso l'esterno, spiegazzandoli.
In ragazzo lo osserva per qualche secondo, prima di essere degnato di uno sguardo.
"Ch'bbuò?", domanda il tabaccaio, abbassando il giornale.
Il ragazzo gli porge un foglietto. "Devo fare una ricarica postepay. 38 euro + 2. Lì sopra ci sono segnati tutti i dati per la ricarica".
Il tabaccaio afferra rapace il foglietto, legge i dati, e poi scocca un'occhiata sdegnata al ragazzo. "Guagliò, a'tien'a carta postape'?"
Il ragazzo corruga la fronte. "Sì ma...perchè? Le serve?"
Il tabaccaio sbuffa. "E' normale ca'm'serve...Comm'a'faccio sennò la ricarica? M'he a dà pur' o coddic'fiscale tuojo."
Il ragazzo alza un sopracciglio. "Come sarebbe che le devo dare anche il mio codice fiscale? La postepay ce l'ho, il codice fiscale no. Sta scritto sopra al foglio il codice fiscale."
"Eh, ma a me m'serve..."
"E perchè?"
"Pecchè l'aggia inzerì dint' o'terminale...Li devo passare dentro la macchinetta. Sennò nun funzion' e nun t'pozzo mettere e'soldi llà dinto..."
"Mi scusi", dice il ragazzo, spiazzato dalla situazione, "Ma è la prima volta che mi chiedono una cosa del genere. Non me l'hanno mai chiesto da nessuna parte. Nemmeno alla Posta. Se non si fida ed è per un problema legale, ho la fotocopia di carta d'identità e codice fiscale. Ma ho sempre fatto una ricarica avendo tutti i dati a disposizione...Do' il fogliettino o comunico i dati a voce, chi di dovere inserisce tutto nel terminale, prende i soldi e la ricarica è fatta."
Nel sentire quelle parole, il tabaccaio guarda il ragazzo allibito, quasi come se avesse detto una bestemmia.
"Guaglio', famm'capì...Mi stai dicendo che devo mettere i dati tuoi...A MANO? Ma che sei pazzo?"
"Se vuole li può mettere anche con la lingua", risponde il ragazzo, spazientito, riprendendosi il foglio dalle mani del tabaccaio, "Ma dato che ho capito che si scoccia talmente tanto da non voler guadagnare 40 euro, non si preoccupi. La lascio ad attività più redditizie come leggere il giornale. Stia tranquillo, che non facendo un cazzo leggendo le prodezze del suo calciatore del cuore, guadagnerà sicuramente di più."
Il tabaccaio rimane impietrito. Apre la bocca per parlare, ma dalla gola non escono che suoni gutturali indistinti.
Il ragazzo si volta, esce dall'antro, e se ne va.

Piuttosto innervosito.

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Racconti di vita (vissuta per finta?) #3: Carta a terra

L'uomo sale sulla metropolitana e si siede.
Davanti a lui prende posto una signora sulla cinquantina, capelli nerissimi freschi di tintura, pelle tirata e botulinata, colorito della faccia rosso pompeiano dovuta a una più che probabile intensa giornata di mare, vestito "fashon" da spiaggia per sembrare più cool, espressione schifata e snob.
Il treno parte.
La signora si guarda intorno, apre la borsa, tira fuori un pacchetto di fazzolettini di carta.
Ne estrae un paio, si alza, e comincia a pulire il seggiolino ove si era appena seduta, con cura quasi maniacale. Quindi, a pulitura ultimata, dopo essere tornata a sedersi, appallottola i fazzolettini, li butta a terra, e con la suola della ciabatta cerca di nasconderli sotto al sediolino.
L'uomo se ne accorge.
Si china, raccoglie i fazzoletti buttati dalla signora e li appoggia sulla sua borsa. "Questi sono suoi", dice.
La signora, non potendo arrossire per via dell'abbronzatura che la fa sembrare già di suo più simile a una ciliegia che a un essere umano, diventa blu. "Quando sarei scesa, l'avrei buttati", abbozza.
"E perchè cercava di nasconderli sotto al sediolino?", incalza l'uomo. "Non mi sembra proprio il modo di agire di chi avrebbe l'intenzione di buttare questa carte sporche."
La signora ha un moto di stizza, con un gesto brusco della mano getta di nuovo i fazzoletti sporchi a terra. "Ma che me ne fotte!"
"Signora", replica l'uomo raccogliendo ancora le carte da terra e dandole alla donna, "Ma non lo vede come stiamo combinati qua a Napoli? E' colpa di gente come lei se siamo sommersi dalla spazzatura..."
"Ma che cazzo me ne fotte!", ripete la signora urlando e guardandosi intorno per cercare consensi tra i passeggeri. "La colpa è tua! Anche tu butti le carte a terra!"
L'uomo scrolla il capo. "Fino a prova contraria chi in questo momento ha gettato carte a terra in un luogo pubblico, commettendo un atto incivile, è lei, signora. Dovrebbe solo vergognarsi, sa? Non solo è una persona maleducata e incivile, ma nega l'evidenza addossando le sue colpe sugli altri. Si vergogni."
"Ma vergognarmi di cosa? Io non mi vergogno! Lo fanno tutti! Lo fanno tutti!", sbraita la signora, agitando le braccia e buttando i fazzolettini a terra per la terza volta.
L'uomo si abbassa di nuovo e raccoglie ancora una volta i fazzoletti della signora, che adesso si alza e se ne va, cambiando carrozza, tra un'alzata di spalle e l'indifferenza generale.

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Racconti di vita (vissuta per finta?) #2: Il tipo sul treno

L'uomo è seduto in metropolitana, vicino al finestrino. Guarda il paesaggio che scorre sotto ai suoi occhi con interesse e piacere, incurante di ciò che succede all'interno del convoglio.
Poi la metropolitana si ferma alla stazione. Salgono diverse persone, e sale un tipo strano, sulla trentina, coi capelli scombinati, gli occhi incavati, la pelle olivastra e i vestiti sbrindellati.
L'uomo sbrindellato si siede accanto all'uomo che guarda fuori dal finestrino.
La metropolitana parte.
Pochi secondi dopo la partenza, l'uomo sbrindellato picchietta con la mano sinistra la spalla dell'uomo che guarda il finestrino.
- Scuso? Posso farto una domanta?
L'uomo del finestrino, sentitosi chiamare, sposta lo sguardo dal panorama all'uomo al suo fianco. Non apre bocca, non risponde e non proferisce parola. Rimane in attesa, guardandolo fisso.
L'uomo sbrindellato sembra un poco a disagio. Deglutisce, e poi domanda: - Sento, scuso, non è che potesto imprestarmo il cellulare? Devo fare uno scquillo a fratemo.
L'uomo del finestrino squadra l'uomo sbrindellato da capo a piedi. Gli lancia un'occhiataccia torva, e poi scuote il capo, senza degnarlo di una risposta vocale.
L'uomo sbrindellato aggrotta la fronte.
- Allora è no?, domanda.
L'uomo del finestrino scrolla di nuovo il capo.
- Crazie, ringhia sguaiato l'uomo sbrindellato, mentre l'uomo del finestrino ritorna a guardare il panorama all'esterno.
La metro giunge ad un'altra stazione. Passeggeri salgono, e passeggeri scendono. L'uomo del finestrino li osserva. Poi vede l'uomo sbrindellato al suo fianco frugare all'interno delle sue tasche, estrarre un iPhone 4 nuovo fiammante, comporre un numero sullo schermo touchscreen, e portare l'apparecchio all'orecchio.
Passano alcuni secondi, poi la voce dell'uomo scuote le pareti del convoglio.
- Guè, fratammè, sto venenn'. Fatt'truvà fuor'a stazion', m'arraccumann'!

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Racconti di vita (vissuta per finta?) #1: Il commerciante

Il Mercatino Rionale di Bagnoli è un edificio tozzo e rettangolare di due piani: quello superiore è adibito per lo più alla vendita di prodotti alimentari, con pollerie, minimarket, banco surgelati, fruttivendoli e drogherie; quello inferiore, a detersivi, pseudovestiario e prodotti per l'igiene intima.
Un tempo, il Mercatino, era una sorta di Eldorado in miniatura. Assieme al mercato itinerante che occupava una volta a settimana buona parte del quartiere, ci si poteva trovare di tutto, a prezzi convenienti. Adesso, invece,  assomiglia più a una ghost town in rovina.
Il Mercatino è decadente, squallido, sporco. La metà dei negozi hanno le serrande arrugginite abbassate, su dieci lampadine che penzolano dal soffitto se ne accende solo una, e la maggior parte dei neon incollati alle pareti lampeggiano impazziti, senza mai fermarsi.  Nonostante ciò, e nonostante nel quartiere siano presenti un paio di supermercati ben riforniti,  il Mercatino Rionale rimane un punto di riferimento per la cittadinanza, e il luogo preferito dalle casalinghe e dai loro mariti dove trovare la maggior parte delle cose utili per il proprio appartamento,  la propria cucina e il proprio frigorifero.
Rispetto al piano superiore - ampio, arioso e illuminato dalla luce che filtra dai finestroni posizionati sotto il soffitto che corrono lungo tutto il perimetro dell’edificio - il pian terreno è un ambiente stretto, claustrofobico e oscuro. E' una specie di corridoio addobbato fino all’inverosimile di cianfrusaglie e suppellettili più o meno inutili, sui lati del quale si aprono cubicoli lerci e in penombra che vendono saponette, borotalco, dentifrici, spazzolini e robe di questo genere.
Il gestore di uno di questi negozietti dai pavimenti dissestati è il signore G., un uomo tozzo e quadrato dall'aria innocente, con gli occhi piccoli e neri, il naso a punta, e le labbra sottili. Benchè la sua merceria sia una delle più orripilanti di tutto il complesso, cerca di ovviare alla “mancanza estetica” trattando i clienti con cortesia, precisione e cordialità. Dicono sia un brav'uomo, con moglie e figli, e che svolga il suo mestiere di commerciante in modo onesto ed esemplare, accontentando i clienti e offrendo sempre merce di prima qualità.
Poi è normale che, nel quotidiano svolgimento dell'esercizio commerciale, possano capitare, di tanto in tanto, intoppi, problemi o questioni di vario tipo. Questioni che il signor G., forte del suo alto senso morale, riesce sempre a risolvere.
Come questa mattina.
Al negozio si è presentata una signora di mezza età con il figlio. Il signor G. li conosce: sono clienti abituali. La signora ha chiesto il solito barattolo di borotalco da un 1kg, e il signor G. ha obbedito. Ha afferrato il barattolo dallo scaffale posto alle sue spalle, l’ha appoggia sul bancone, ha digitato il prezzo sul registratore di cassa, ha strappato lo scontrino emesso e l’ha dato alla signora.
«Signò, song’ 10 euri.»
La signora ha annuito, e dal borsello ha tirato fuori una banconota da 50.
Gli occhi del signor G. hanno brillato per un istante. Ha dato i due biglietti da 20 euro alla signora, mentre il figlio al suo fianco – un grassone dall’aria truce di quasi 30 anni, appoggiato a un carrello della spesa rosso e blu – sbuffava, visibilmente annoiato.
«Grazie, Signor G.», ha fatto la signora, passando il borotalco al figlio, che l’ha riposto nel carrello.
«Stateve bbon’, signò», le ha risposto G., con il suo tipico fare bonario.
La signora e il figlio sono usciti dal bugigattolo. Il signor G. ha continuato a servire i clienti, come al solito.
Dopo circa una quindicina di minuti, è riapparsa la signora del borotalco.
«Signor G., stavo comprando il pollo dalla signora di sopra, e quando ho pagato, mi ha detto che i 20 euro che mi avete dato voi come resto non so’ buoni e sono falsi.»
Il Signor G. ha socchiuso gli occhi, corrugato la fronte, arricciato le labbra e spalancato le braccia.
«Signò, e je che ce pozzo fare? Nun song’problemi miei, questi qua. Quann’na’ cosa jescie dal necozio, nun ce pozzo fare proprie niente. E po’ nun o’vedete ca’ e’sord’ so bbuoni? Ma quanno maje so' falsi!»
La signora ha accennato una flebile protesta, dicendo che oltre alla pollivendola, sia il fruttivendolo, sia la macchinetta per il controllo delle banconote della drogheria avevano stabilito che la banconota da 20 fosse falsa.
«Signò, ve l’aggio detto», ha ringhiato il Signor G., scuotendo la testa, «Nun se po’ ffà niente. I soldi so’ buoni. E mò jatevenne, ch’teng’che ffà. Non vedete che ppe’ mezza vostra s’è fatt’a folla dint’o negozio?»
La signora ha chinato il capo, e se n’è uscita mogia mogia dal cubicolo. Il signor G., sorridendo come se niente fosse successo, ha proseguito nello spicciare le persone che chiedevano questo e quel prodotto. Fino a quando, al bancone, non si è presentato il figlio della signora.
Sorrideva, ma dietro le lenti scure degli occhiali da sole, il Signor G. intuiva le occhiatacce leggermente intimidatorie.
«Ch’ve pozzo da’?», ha chiesto il signor G. rivolgendosi al grassone facendo finta di non sapere chi aveva di fronte.
Il figlio della signora si è fatto avanti, ha poggiato le 20 euro sul bancone e ha detto: «Questi sono i 20 euro che lei ha dato come resto a mia madre. La banconota, e lei lo sa benissimo, è falsa. Dato che non ha voluto cambiarla, pur sapendo di essere in torto, gliel’ho riportata, cosicchè potrà tranquillamente darla come resto a qualche altra persona onesta, che, così come ha fatto mia madre, non si accorgerà che i 20 euro sono falsi e non sono buoni…»
«Ma ch’state diciendo, guagliò», ha urlato il signor G., dissimulando sorpresa e indignazione al tempo stesso, e attirando la solita folla di curiosi pronta a farsi i fatti degli altri. «E’sord’ so' bbuoni. Ch’strunzat’staje dicenn’? Chi ve l’ha detto che i soldi sono falsi?»
Il grassone ha increspato le labbra in un sorriso maligno.
«L’ha detto la macchinetta per le banconote del droghiere del piano di sopra.»
«Eh, ma e’machinett’dicono nu’sacc’e’ strunzate!»
«E allora anche la pollivendola e il fruttivendolo dicono “nu sacc’e strunzate”, dato che hanno constatato il fatto che la banconota è fasulla. Ad ogni modo, se come sostiene – giustamente – lei, dato che i soldi che lei ha dato come resto a mia madre sono buoni, non avrà problemi a tenersi la banconota e a cambiarli con un’altra di pari importo, vero?»
Il Signor G. ha cominciato a guardarsi intorno, spaesato. Non aveva la minima intenzione di cambiare quei soldi, non sapeva cosa rispondere al grassone, e nel frattempo vedeva il capannello di gente formatosi fuori al negozio che annuiva quando parlava il figlio della signora.
«Eh, guagliò, mo’ nun pazziamm’. L’aggio detto già a tua madre. Quann’na cosa esce fuori dal negozio, je nun c’pozzo fare niente.»
«Allora si tenga pure la banconota come le ho detto prima. Tanto le persone qui intorno hanno sicuramente capito che razza di commerciante è.»
«Guè, ma comm’t’permiett e’dicere ste…»
«Stia zitto, che è meglio», ha detto secco il grassone, «Tanto la pessima figura l’ha fatta lo stesso, per lo più davanti ad altri clienti, che come vede mi stanno dando ragione. Le risparmio anche la seccatura di una denuncia per spaccio di banconote false, denuncia che potrei benissimo fare in quanto ho ben tre testimoni che mi conoscono e che hanno appurato il vero. Lei potrà aver guadagnato 20 euro con questo simpatico giochetto, 20 euro che io, a causa sua, ho perso; ma lei sa bene che se io ho perso 20 euro, lei ha perso un cliente, oltre a 100 e più euro in borotalco, dato che mia madre veniva a comprarlo esclusivamente qui una volta al mese.»
Il signor G. è rimasto ammutolito per qualche istante. Poi ha urlato qualcosa, mentre il grassone usciva dal cubicolo e diceva: «Sì, sì, continui a fare la parte dello stuzzo. Bla bla bla bla. L’importante è che la gente abbia visto come lei si comporta e che razza di lestofante è. Fossi in lei, proverei un po’ di vergogna per questo suo comportamento.»
Il capannello di gente intanto bofonchiava qualcosa.
Il Signor G., rimasto col volto terreo, la bocca spalancata e l’espressione stralunata, non sapeva più cosa dire. Come si permetteva quel chiattone di merda di delegittimarlo in quel modo davanti agli altri clienti? Clienti che, adesso, lo stavano guardando tutti con occhi di fuoco e la faccia indignata.
«Che schifo», dicevano alcuni, scuotendo la testa.
«Ma se i soldi erano buoni veramente, perché non li ha cambiati?», sussurravano altri.
«Ch figur’e merd’», affermavano altri ancora.
Il Signor G. ha deglutito, mentre vedeva la gente lasciare il suo negozio. Quelle due-tre persone che prima avevano in mano flaconi di detersivo, spugne e deodoranti, avevano riposto tutto al loro posto e se n’erano andate, lasciandolo solo.
Il negozio era sprofondato nel silenzio di colpo ed era ritornato ad essere quello che era: un cubicolo lurido, piccolo e sporco, all’interno di un edificio squallido e decadente. 

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